LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Sesta Sezione penale 
 
    Composta da: 
    Giovanni Conti; Presidente; 
    Giorgio Fidelbo; 
    Stefano Mogini, relatore; 
    Gaetano De Amicis; 
    Alessandra Bassi; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da P.P.
nato a ... il ... avverso il decreto del 31 luglio  2014  emesso  nei
suoi confronti dal Giudice di pace di Alessandria; 
    letti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; 
    udita la relazione del consigliere Stefano Mogini; 
    lette le conclusioni  del  Sostituto  Procuratore  generale  Vito
D'Ambrosio,  che,  ha  chiesto   l'annullamento   del   provvedimento
impugnato. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con  decreto  del  31  luglio  2014  il  Giudice  di  pace  di
Alessandria  ha  convalidato  il  provvedimento   del   Questore   di
Alessandria in data 23 luglio 2014 con il quale sono state  applicate
a P.P. tutte le misure di cui all'art. 75-bis decreto del  Presidente
della Repubblica n. 309/1990 per la durata di anni due. 
    2. P.P. ha proposto a mezzo del suo difensore di fiducia  ricorso
per cassazione avverso il decreto del Giudice di  Pace  descritto  in
epigrafe deducendo: 
    a) violazione di legge  in  relazione  al  mancato  rispetto  del
diritto  di  difesa,  per  essere  stato  decreto  di  convalida  del
provvedimento del Questore emesso prima che fosse  trascorso  termine
di  quarantotto  ore  dalla  notifica  del   medesimo   provvedimento
all'interessato; 
    b) violazione di legge e assenza di motivazione  in  ordine  alla
sussistenza delle condizioni previste dal citato art. 75-bis  decreto
del Presidente della  Repubblica  n.  309/1990,  in  particolare  per
quanto  riguarda  la  necessita'  e  urgenza  del  provvedimento   in
relazione all'inesistenza dei pericolo per la  sicurezza  pubblica  e
all'adeguatezza del suo contenuto, anche sotto  il  profilo  e  della
specie e della durata delle misure imposte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il  ricorrente  lamenta  l'erronea  applicazione  delle  norme
procedurali e  sostanziali  contenute  nei  citato  art.  75-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica n.  309/1990,  in  base  alle
quali  il  soggetto  sottoposto  a  sanzione  amministrativa  perche'
ritenuto responsabile delle condotte descritte nell'art.  75  decreto
del Presidente della Repubblica cit., che risulti essere  gia'  stato
condannato, anche con sentenza non definitiva, per  reati  contro  la
persona, contro il patrimonio o per quelli previsti dal  testo  unico
delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti o dalle norme
sulla circolazione stradale, ovvero sanzionato per  violazione  delle
norme  del  medesimo  testo  unico  o  destinatario  di   misure   di
prevenzione o di sicurezza,  puo',  con  provvedimento  del  questore
soggetto a convalida da parte del giudice di pace nei termini  e  con
le cadenze  ivi  previsti,  essere  inoltre  sottoposto,  qualora  in
relazione alle modalita' o alle circostanze dell'uso  delle  sostanze
da quelle condotte possa derivare pericolo per la sicurezza pubblica,
ad una o piu' delle seguenti misure: a) obbligo di presentarsi almeno
due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato
o  presso  il  Comando  dell'Arma  dei  Carabinieri  territorialmente
competente; b) obbligo di rientrare nella  propria  abitazione  entro
una determinata ora e di non uscirne prima di un'ora  prefissata;  c)
divieto di frequentare determinati locali  pubblici;  d)  divieto  di
allontanarsi dal comune di residenza; e) obbligo di comparire  in  un
ufficio o comando di polizia specificamente indicato negli  orari  di
entrata e uscita dagli istituti scolastici; f)  divieto  di  condurre
qualsiasi veicolo a motore. 
    La durata massima di tali misure e'  fissata  dallo  stesso  art.
75-bis in due anni e - a seguito dell'entrata in vigore dell'art.  3,
comma 51, lettera b) della legge 15 luglio 2000, n. 94 -  in  quattro
anni per quella indicata nella lettera f). 
    2. L'art. 75-bis e' stato inserito  nel  decreto  del  Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle  leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza) dall'art. 4-quater del decreto-legge  30  dicembre
2005, n.  272  (Misure  urgenti  per  garantire  la  sicurezza  ed  i
finanziamenti  per  le  prossime  Olimpiadi  invernali,  nonche'   la
funzionalita'  dell'Amministrazione  dell'interno.  Disposizioni  per
favorire il recupero di tossicodipendenti  recidivi  e  modifiche  al
testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei  relativi
stati di tossicodipendenza, di cui al decreto  del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309),  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 21 febbraio 2006, 49, art. 1, comma l. 
    Con sentenza n. 32 del 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimita' costituzionale degli articoli 4-bis e  4-vicies  ter
del  citato  decreto-legge  30  dicembre  2005,  n.  272.  La   Corte
costituzionale ha nell'occasione rilevato la  manifesta  "assenza  di
ogni nesso di interrelazione funzionale tra le disposizioni impugnate
e le originarie disposizioni del decreto-legge", sicche', "in difetto
del  necessario  legame  logico-giuridico,  richiesto  dall'art.  77,
secondo comma, Cost., i censurati artt. 4-bis e 4-vicies  ter  devono
ritenersi adottati  in  carenza  dei  presupposti  per  il  legittimo
esercizio del potere legislativo di conversione". 
    Il Collegio ritiene  che  analogo  dubbio  di  costituzionalita',
afferente al peculiare vizio procedurale derivante dall'eterogeneita'
delle disposizioni aggiunte  in  sede  di  conversione  rispetto  "ai
contenuti gia'  disciplinati  dal  decreto-legge  ovvero  alla  ratio
dominante  del   provvedimento   originario   considerato   nel   suo
complesso",  possa   essere   plausibilmente   formulato   anche   in
riferimento all'art. 4-quater del  decreto-legge  n.  272  del  2005,
anch'esso inserito in sede di conversione. 
    Va al riguardo rilevato che poiche' la decisione  di  entrambi  i
motivi  di  ricorso  richiede   l'applicazione   delle   disposizioni
procedurali  e  sostanziali  recate  dall'art.  75-bis  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 introdotto  dal  citato  art.
4-quater - in particolare per quanto riguarda le cadenze  procedurali
fissate al comma 2 e le condizioni alle quali il  comma  1  subordina
l'applicazione delle misure indicate alle lettere a), b), c), d),  e)
ed f) del medesimo comma -  il  Collegio  ritiene  che  la  questione
rilevante  nel  presente  giudizio  e  da   sottoporre   alla   Corte
costituzionale in riferimento  all'art.  77,  secondo  comma,  Cost.,
debba essere circoscritta  all'art.  4-quater  del  decreto-legge  30
dicembre 2005, n. 272,  introdotto  dalla  legge  di  conversione  21
febbraio 2006, n. 49, che ha inserito nel Testo unico delle leggi  in
materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza  il  citato  art.  75-bis  e  ha   cosi'   permesso
l'applicazione, per ragioni e ad  opera  dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza, di un'inedita serie di misure restrittive  della  liberta'
personale e di movimento nei confronti di "qualificati" assuntori  di
sostanze stupefacenti. 
    La  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  di  quella
disposizione  determinerebbe  infatti  l'annullamento   del   decreto
impugnato e venir meno del provvedimento del Questore  col  quale  al
ricorrente sono  state  cumulativamente  applicate  tutte  le  misure
preventive previste dal citato art. 75-bis. 
    3. Appare opportuno ancora precisare  che  la  questione  che  in
questo giudizio assume rilevanza e viene  quindi  sollevata  riguarda
dunque le specifiche norme, come  dianzi  individuate  e  delimitate.
Invero,  sebbene  la  questione  venga  prospettata  con  riferimento
all'art. 77, secondo comma, Cost., e quindi  per  un  vizio  formale,
sembra plausibile, stante il  particolare  tipo  di  vizio,  che  una
eventuale pronuncia di annullamento possa incidere  non  sull'insieme
delle disposizioni, ma sulle singole norme introdotte dalla legge  di
conversione che dovessero essere  ritenute  sganciate  dal  contenuto
originario del decreto-legge. 
    Difatti, il prospettato vulnus  al  parametro  costituzionale  di
riferimento non discende  dall'operazione  di  integrazione,  in  se'
considerata,  bensi'  dalla  totale  estraneita',   per   materia   e
finalita', delle norme inserite, con la conseguenza che  la  verifica
del rispetto del parametro va condotta caso per caso, avuto  riguardo
al contenuto delle norme stesse. 
    Si  tratta  infatti,  come  puntualmente  statuito  dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 32 del  2014  in  riferimento  alla
questione di costituzionalita' sollevata dalla Terza  Sezione  Penale
di questa Corte con ordinanza n. 272  dell'11  giugno  2013,  "di  un
vizio procedurale peculiare, che per sua stessa  natura  puo'  essere
evidenziato solamente attraverso un esame del  contenuto  sostanziale
delle singole disposizioni aggiunte in  sede  parlamentare,  posto  a
raffronto con l'originario decreto-legge. All'esito di tale esame, le
eventuali disposizioni  intruse  risulteranno  affette  da  vizio  di
formazione, per violazione dell'art. 77 Cost., mentre  saranno  fatte
salve tutte le componenti  dell'atto  che  si  pongano  in  linea  di
continuita'  sostanziale,  per   materia   o   per   finalita',   con
l'originario decreto-legge". 
    4. Quanto alla non  manifesta  infondatezza,  va  preliminarmente
ricordato che, come e' ben noto giudice  non  deve  stabilire  se  la
questione sia  fondata  o  infondata,  compito  questo  di  esclusiva
competenza della Corte costituzionale, bensi' unicamente se sia o non
sia manifestamente infondata. 
    Il giudice deve quindi limitarsi ad una valutazione sommaria, per
rilevare, anche d'ufficio, che  esista,  a  prima  vista,  un  dubbio
plausibile  di  costituzionalita'  ed   a   svolgere   un   controllo
finalizzato  a  escludere  le  questioni  prive  di  serieta'  e   di
ponderazione. 
    Nella specie, la cennata questione di legittimita' costituzionale
e', oltre che rilevante, anche plausibile e seria. Sussiste almeno un
serio dubbio di illegittimita' costituzionale, il che e'  sufficiente
ad escludere la manifesta infondatezza della questione. 
    5. Cio' posto, si rammenta, in linea con quanto gia' puntualmente
argomentato dalla Terza Sezione Penale di questa Corte  nella  citata
ordinanza n. 227 del 2013, che la Corte costituzionale ha  ricordato,
con sentenza n. 22 del 2012, come uno degli indici in base  ai  quali
verificare se in un decreto-legge risulti evidente o meno la  carenza
del  requisito  della  straordinarieta'  del  caso  di  necessita'  e
d'urgenza di provvedere, e'  costituito  dalla  evidente  estraneita'
della norma censurata rispetto alla  materia  disciplinata  da  altre
disposizioni del decreto-legge in cui e' inserita  (sentenza  n.  171
del 2007; sentenza n. 128 del 2008). 
    Il riconoscimento dei presupposti di  cui  all'art.  77,  secondo
comma, Cost. e' quindi collegato  a  una  intrinseca  coerenza  delle
norme contenute in un decreto-legge o dal punto di vista oggettivo  e
materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La  urgente
necessita' del provvedere puo' riguardare  una  pluralita'  di  norme
accomunate dalla  natura  unitaria  delle  fattispecie  disciplinate,
ovvero anche dall'intento di  fronteggiare  situazioni  straordinarie
complesse  e  variegate,  che  richiedono  interventi  oggettivamente
eterogenei,  afferenti  quindi  a  materie  diverse,  ma  indirizzati
all'unico  scopo  di   approntare   rimedi   urgenti   a   situazioni
straordinarie venutesi a determinare. 
    Da cio' la  Corte  ha  tratto  la  conclusione  che  la  semplice
immissione  di  una  disposizione  nel  corpo  di  un   decreto-legge
oggettivamente o teleologicamente unitario non  vale  a  trasmettere,
per cio' solo, alla stessa il  carattere  di  urgenza  proprio  delle
altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto  o  di
finalita'. 
    Pertanto, l'inserimento di norme eterogenee  all'oggetto  o  alla
finalita' del  decreto  spezza  il  legame  logico-giuridico  tra  la
valutazione fatta  dal  Governo  dell'urgenza  del  provvedere  e  "i
provvedimenti  provvisori  con  forza  di  legge.  Invero,  la  ratio
implicita nel secondo comma dell'art. 77  Cost.  impone  collegamento
dell'intero decreto-legge  al  caso  straordinario  di  necessita'  e
urgenza che ha  indotto  il  Governo  ad  avvalersi  dell'eccezionale
potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione
da parte del Parlamento, e di tale ratio costituisce  esplicitazione,
pur non avendo rango costituzionale, l'art. 15, terzo comma, legge 23
agosto  1988,  n.  400,  laddove  prescrive  che  il  contenuto   del
decreto-legge deve essere specifico,  omogeneo  e  corrispondente  al
titolo. 
    Per quanto concerne in particolare la legge  di  conversione,  la
citata sentenza n. 22  del  2012  ha  affermato  che  "La  necessaria
omogeneita' del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in
relazione  all'apprezzamento   politico   operato   dal   Governo   e
controllato  dal  Parlamento,  del  singolo  caso  straordinario   di
necessita'  e  urgenza,  deve  essere  osservata   dalla   legge   di
conversione". 
    La Corte ha quindi  enunciato  il  "principio  della  sostanziale
omogeneita' delle norme contenute nella legge di  conversione  di  un
decreto-legge, principio costituzionale  confermato  dal  regolamento
del Senato e richiamato da messaggi e lettere  del  Presidente  della
Repubblica. 
    Alla  stregua  di  tale  principio,  deve  dunque  ritenersi  che
"l'esclusione  della  possibilita'  di  inserire   nella   legge   di
conversione  di  un  decreto-legge  emendamenti  del  tutto  estranei
all'oggetto e  alle  finalita'  del  testo  originario  non  risponda
soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo
stesso art. 77, secondo comma, Cost.,  che  istituisce  un  nesso  di
interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal  Governo  ed
emanato dal Presidente della  Repubblica,  e  legge  di  conversione,
caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare  rispetto
a  quello  ordinario",  anche  sotto  il  profilo  della  particolare
rapidita' e  della  necessaria  accelerazione  dei  tempi  di  questo
procedimento. 
    La  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto  che  le  Camere  ben
possono,   "nell'esercizio   della   propria    ordinaria    potesta'
legislativa, apportare emendamenti al testo  del  decreto-legge,  che
valgano a modificare la disciplina normativa  in  esso  contenuta,  a
seguito  di  valutazioni  parlamentari  difformi  nel  merito   della
disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in  vista  delle  medesime
finalita', o anche solo per esigenze meramente tecniche o formali, ma
ha  specificato  che  esorbita  invece  dalla  sequenza  tipica   del
procedimento "l'alterazione dell'omogeneita' di fondo della normativa
urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta,
possieda  tale  caratteristica"  (in  caso  contrario  vi   sarebbero
problemi di legittimita' dello stesso decreto-legge). In  definitiva,
"l'innesto   nell'iter   di   conversione   dell'ordinaria   funzione
legislativa  puo'  certamente  essere  effettuato,  per  ragioni   di
economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale
tra decretazione d'urgenza e potere di conversione.  Se  tale  legame
viene interrotto, la violazione dell'art. 77, secondo  comma,  Cost.,
non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza per
le norme eterogenee aggiunte, che,  proprio  per  essere  estranee  e
inserite successivamente, non possono collegarsi  a  tali  condizioni
preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma per  l'uso  improprio,  da
parte  del  Parlamento,  di  un  potere  che  la   Costituzione   gli
attribuisce, con speciali modalita' di procedura, allo  scopo  tipico
di convertire, o non, in legge un decreto-legge". 
    In sostanza, secondo questa  sentenza  costituzionale,  le  norme
inserite nel decreto-legge nel corso del procedimento di  conversione
che siano "del tutto estranee  alla  materia  e  alle  finalita'  del
medesimo",  sono  costituzionalmente  illegittime,   per   violazione
dell'art. 77, secondo comma, Cost. 
    Questi  principi  sono   stati   poi   confermati   dalla   Corte
costituzionale con l'ordinanza n. 34 del  2013,  che  ha  ribadito  i
limiti alla emendabilita' del decreto-legge indicati  dalla  sentenza
n. 22 del 2012 "in una prospettiva contenutistica ovvero finalistica,
richiamando le norme procedimentali che riflettono  la  natura  della
legge di conversione come legge  "funzionalizzata  e  specializzata",
che non puo' aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore". 
    Le Camere pertanto possono emendare il  testo  del  decreto-legge
nel rispetto  del  contenuto  o  della  finalita'  del  provvedimento
governativo e, "nel caso di provvedimenti governativi  ab  origine  a
contenuto  eterogeneo,  il  limite  all'introduzione   di   ulteriori
disposizioni in sede di conversione e' costituito dal rispetto  della
ratio". 
    Quando le norme introdotte in sede  di  conversione  risultassero
del tutto estranee alla ratio del decreto-legge, si registrerebbe uno
"scostamento intollerabile della funzione legislativa" dal  parametro
costituzionale. 
    Sulla stessa linea si pone del resto, con  specifico  riferimento
agli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge n, 272 del 2005,
la sentenza della Corte costituzionale n.  32  del  2014.  Dopo  aver
ricordato che "La legge di conversione ... segue un iter parlamentare
semplificato e caratterizzato dal rispetto di  tempi  particolarmente
rapidi, che si giustificano alla  luce  della  sua  natura  di  legge
funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza
di legge, emanato provvisoriamente dal Governo e valido per un  lasso
temporale breve e circoscritto", la sentenza afferma che  in  ragione
della sua "connotazione di  legge  a  competenza  tipica  derivano  i
limiti  alla  emendabilita'  del   decreto-legge".   "La   legge   di
conversione  non  puo',  quindi,  aprirsi   a   qualsiasi   contenuto
ulteriore,  come  del   resto   prescrivono   anche   i   regolamenti
parlamentari (art. 96-bis del Regolamento della Camera dei Deputati e
art.  97  del  Regolamento  del   Senato   della   Repubblica,   come
interpretato dalla Giunta per il regolamento  con  il  parere  dell'8
novembre 1984). Diversamente,  l'iter  semplificato  potrebbe  essere
sfruttato per scopi estranei a quelli  che  giustificano  l'atto  con
forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche  di  confronto
parlamentare.  Pertanto,  l'inclusione  di  emendamenti  e   articoli
aggiuntivi  che  non  siano  attinenti  alla  materia   oggetto   del
decreto-legge, o alle finalita' di quest'ultimo, determina  un  vizio
della legge di conversione in parte qua." 
    La sentenza n.  32  del  2014  sottolinea  al  riguardo  che  "la
richiesta coerenza tra il decreto-legge e la legge di conversione non
esclude,  in  linea  generale,  che  le  Camere   possano   apportare
emendamenti al testo del decreto-legge, per modificare  la  normativa
in esso contenuta, in base  alle  valutazioni  emerse  nel  dibattito
parlamentare; essa vale soltanto a  scongiurare  l'uso  improprio  di
tale potere, che si verifica ogniqualvolta sotto la veste formale  di
un emendamento si introduca un disegno di legge che tenda a immettere
nell'ordinamento una disciplina  estranea,  interrompendo  il  legame
essenziale tra decreto-legge  e  legge  di  conversione,  presupposto
dalla sequenza delineata dall'art. 77, secondo comma, Cost.". 
    La stessa sentenza puntualizza inoltre che "cio' vale  anche  nel
caso di provvedimenti governativi ab  origine  a  contenuto  plurimo,
come quello di specie",  e  ribadisce  che  "in  relazione  a  questa
tipologia di atti - che di  per  se'  non  sono  esenti  da  problemi
rispetto al requisito dell'omogeneita' (sentenza n. 22  del  2012)  -
ogni ulteriore disposizione introdotta in sede  di  conversione  deve
essere strettamente collegata ad uno dei contenuti gia'  disciplinati
dal decreto-legge  ovvero  alla  ratio  dominante  del  provvedimento
originario considerato nel suo complesso", per concludere quindi  che
"Nell'ipotesi in cui la  legge  di  conversione  spezzi  la  suddetta
connessione,  si  determina  un  vizio  di  procedura,  mentre  resta
ovviamente salva  la  possibilita'  che  la  materia  regolata  dagli
emendamenti estranei al decreto-legge formi oggetto  di  un  separato
disegno di  legge,  da  discutersi  secondo  le  ordinarie  modalita'
previste dall'art. 72 Cost.". 
    Insomma, secondo la Corte costituzionale, le  norme  aggiunte  in
sede di conversione, ove siano del tutto eterogenee  al  contenuto  o
alle ragioni di necessita' ed urgenza  proprie  del  decreto,  devono
ritenersi illegittime perche' esorbitano dal  potere  di  conversione
attribuito dalla Costituzione al Parlamento. 
    Questi principi erano stati del resto ribaditi, dopo la  sentenza
n. 22 del 2012, dal Presidente della Repubblica in una lettera del 22
febbraio 2012  ai  Presidenti  delle  Camere  ed  al  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  con  la  quale,  richiamati  il  precedente
messaggio presidenziale del 29 marzo 2002 (di rinvio del  disegno  di
legge di conversione del decreto-legge n. 4 del 2002), viene ribadita
"la necessita' di limitare gli emendamenti ammissibili,  in  sede  di
conversione dei  decreti-legge,  a  quelli  sostanzialmente  omogenei
rispetto al testo originario del  decreto,  in  considerazione  della
particolare   disciplina   costituzionale   e    regolamentare    del
procedimento di conversione nonche' a garanzia del vaglio  preventivo
spettante al Presidente della Repubblica in sede  di  emanazione  del
decreto-legge e di quello  successivo  sulla  legge  di  conversione,
anche per la difficolta' di esercitare la facolta' di rinvio prevista
dall'art. 74 della Costituzione in  prossimita'  della  scadenza  del
termine tassativo di 60 giorni fissato per la conversione in legge" e
viene ricordato che il mancato rispetto  di  tale  regola  espone  le
disposizioni  "al  rischio  di  annullamento  da  parte  della  Corte
costituzionale  per  ragioni  esclusivamente  procedimentali  ma   di
indubbio rilievo istituzionale". 
    6. La disposizione e le norme che  qui  vengono  in  rilievo  non
facevano parte del testo originario del decreto-legge sottoposto alla
firma del Presidente della Repubblica, ma  sono  state  inserite  nel
decreto-legge n. 272 del 2005 per effetto di emendamenti approvati in
sede di conversione. Come gia' correttamente  segnalato  dalla  Terza
Sezione Penale di questa Corte nella  citata  ordinanza  n.  227  del
2013, si  tratta  di  norme  facenti  parte  di  un  corpo  di  nuove
disposizioni,  con  le  quali  non  vengono  disciplinate  situazioni
esistenti e bisognose di urgente intervento normativo per le  ragioni
che  avevano  ispirato  il  decreto-legge,  bensi'  viene  posta  una
normativa "a regime" sulla disciplina delle condotte illecite  aventi
ad   oggetto   sostanze   stupefacenti.   Questa   nuova    normativa
effettivamente appare del tutto slegata da contingenze particolari ed
e' stata  tuttavia  introdotta  dalla  legge  di  conversione  in  un
decreto-legge  avente  contenuto  e  finalita'  del  tutto  estranei,
denominato  "Misure  urgenti  per  garantire  la   sicurezza   ed   i
finanziamenti  per  le  prossime  Olimpiadi  invernali,  nonche'   la
funzionalita'  dell'Amministrazione  dell'interno.  Disposizioni  per
favorire recupero di tossicodipendenti recidivi". 
    Il preambolo del provvedimento provvisorio  con  forza  di  legge
cosi' recita: "Ritenuta la straordinaria  necessita'  ed  urgenza  di
prevenire e contrastare il crimine organizzato ed terrorismo  interno
ed internazionale, anche per le esigenze  connesse  allo  svolgimento
delle  prossime  Olimpiadi  invernali,  nonche'  di   assicurare   la
funzionalita' dell'Amministrazione dell'interno. Ritenuta altresi' la
straordinaria necessita' ed  urgenza  di  garantire  l'efficacia  dei
programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze  anche  in
caso di  recidiva".  Il  testo  originario  conteneva  sei  articoli,
rubricati rispettivamente: "Assunzione di personale della Polizia  di
Stato" (art. 1) al  fine  "di  prevenire  e  contrastare  il  crimine
organizzato ed il terrorismo interno ed internazionale, anche per  le
esigenze connesse allo svolgimento delle Olimpiadi invernali, nonche'
per assicurare la funzionalita'  dell'Amministrazione  dell'interno";
"Personale della carriera prefettizia" (art. 2);  "Finanziamenti  per
le Olimpiadi invernali" (art. 3), anche con  la  istituzione  di  una
lotteria   istantanea;   "Esecuzione   delle   pene   detentive   per
tossicodipendenti in programmi di recupero"  (art.  4);  "Adempimenti
finalizzati all'esercizio del diritto di voto dei cittadini  italiani
residenti all'estero" (art. 5); "Entrata in vigore" (art. 6). 
    Le finalita' pertanto  erano  diverse:  rafforzare  le  forze  di
polizia e la funzionalita' del ministero dell'interno per prevenire e
combattere la criminalita' organizzata e il  terrorismo  nazionale  e
internazionale;  garantire  il   finanziamento   per   le   olimpiadi
invernali;  favorire  il  recupero  dei  tossicodipendenti  detenuti;
assicurare il diritto di voto degli italiani residenti all'estero.  E
tuttavia, almeno per  molte  delle  disposizioni,  si  sarebbe  forse
potuta anche ravvisare una certa sostanziale omogeneita' finalistica,
una comunanza di ratio,  individuabile  probabilmente  nella  urgente
necessita'  di  garantire  l'effettivo  e  sicuro  svolgimento  delle
olimpiadi invernali. 
    Nel testo originario del decreto erano quindi contenute due  sole
disposizioni, inserite nell'art. 4,  che  riguardavano  non  gia'  la
disciplina, il trattamento sanzionatorio e le  misure  preventive  di
pubblica sicurezza relative alle condotte illecite aventi ad  oggetto
sostanze stupefacenti, quanto piuttosto lo specifico  e  circoscritto
tema   dell'esecuzione   di   pene   detentive   nei   confronti   di
tossicodipendenti  recidivi   che   avessero   in   corso   programmi
terapeutici di recupero  presso  servizi  pubblici  o  una  struttura
autorizzata. 
    In particolare, il citato art. 4 si limitava a statuire in ordine
all'abrogazione dell'art. 94-bis del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del  1990,  introdotto  dalla  allora  recentissima
legge 5 dicembre 2005, n.  251  (c.d.  legge  ex  Cirielli),  con  la
specifica finalita' di evitare che le  innovazioni  portate  da  tale
legge   potessero   causare   come   conseguenza   una   massiva    e
pregiudizievole ricarcerizzazione  di  condannati  tossicodipendenti,
categoria questa ritenuta naturalmente recidivante. 
    Ed invero, l'art. 8 della detta legge 5 dicembre  2005,  n.  251,
aggiungendo l'art. 94-bis al decreto del Presidente della  Repubblica
n. 309 del 1990 sugli stupefacenti, riduceva da 4 a  3  anni,  per  i
recidivi, la pena  massima  che  consentiva  l'affidamento  in  prova
finalizzato all'attuazione del programma terapeutico; mentre l'art. 9
aggiungeva la lettera c) al comma 9 dell'art. 656 codice di procedura
penale, escludendo dalla sospensione della esecuzione  della  pena  i
recidivi, compresi i tossicodipendenti che avessero gia' in corso  un
programma terapeutico.  Dopo  pochi  giorni  dalla  loro  entrata  in
vigore, queste disposizioni (effettivamente  dissonanti  rispetto  al
disegno di legge governativo sugli stupefacenti  da  tempo  fermo  al
Senato) furono eliminate dall'art. 4 del  decreto-legge  30  dicembre
2005, n. 272, il quale dispose:  a)  l'abrogazione  dei  citato  art.
94-bis appena introdotto dall'art. 8 della legge ex Cirielli;  b)  la
modifica della lettera c) aggiunta dall'art. 9 di detta legge al nono
comma  dell'art.  656  codice  di  procedura  penale,  nel  senso  di
ripristinare la sospensione della esecuzione della pena fino a 4 anni
per i tossicodipendenti con programma terapeutico in atto,  anche  se
recidivi. Come si e' gia' ricordato, nel preambolo del  decreto-legge
le disposizioni dell'art.  4  vennero  appunto  giustificate  con  la
"straordinaria necessita' ed urgenza  di  garantire  l'efficacia  dei
programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze  anche  in
caso di recidiva", 
    Facendo riferimento a detto art. 4, nella seduta del  Senato  del
19  gennaio  2006,  fu   presentato,   direttamente   in   aula,   un
maxiemendamento governativo,  interamente  sostitutivo  dell'articolo
unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge  n.  272,
nel quale venne inserita una buona parte del  contenuto  del  disegno
S-2953,  del  novembre  2003,  fermo  nelle  competenti   Commissioni
referenti del Senato, e cioe'  una  articolata,  ampia  e  fortemente
innovativa   disciplina   della   materia   mediante   addizione   di
disposizioni del tutto nuove (e' il caso dell'art.  4-quater)  ovvero
sostituzione di quelle corrispondenti gia' contenute nel testo  unico
sulle sostanze stupefacenti di cui al decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del 1990. 
    Nella seduta alla Camera del 6 febbraio  2006,  poi,  il  Governo
pose la fiducia sul disegno di legge di conversione nel  testo  delle
Commissioni, identico a quello gia' approvato dal Senato. 
    7. Ora, appare non manifestamente  infondato  il  dubbio  di  una
profonda distonia di contenuto,  di  finalita'  e  di  ratio  tra  il
decreto-legge n. 272  del  2005  in  generale,  anche  con  specifico
riferimento  alle  disposizioni  dell'art.  4,  e  le   nuove   norme
introdotte in sede di conversione con le quali e' stato  tra  l'altro
introdotto l'inedito complesso di stringenti  misure  di  prevenzione
limitative della liberta' personale e  di  movimento  alle  quali  il
questore puo', per ragioni di pubblica sicurezza, sottoporre, anche a
prescindere dall'esistenza di una precedente condanna penale  passata
in giudicato e di un  programma  terapeutico  in  corso,  i  soggetti
sanzionati in via amministrativa ai sensi dell'art.  75  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309/1990. La distonia appare  evidente
se  si  considera  la  finalita',  la  ratio,  ossia  la  ragione  di
necessita' e  urgenza  che  giustificava  il  decreto-legge  nel  suo
complesso, che era quella di garantire, sotto l'aspetto finanziario e
di  polizia,  un  effettivo  e  sicuro  svolgimento  delle   prossime
olimpiadi invernali. 
    Ma la distonia contenutistica  e  teleologica  appare  sussistere
anche se ci si limita a considerare l'art. 4  del  decreto,  e  cioe'
l'unica disposizione che aveva un labile riferimento  al  tema  degli
stupefacenti, ed anzi, piu'  precisamente,  al  tema  dell'esecuzione
delle  pene  detentive  per  gli  assuntori  abituali   di   sostanze
stupefacenti  condannati.  Questo  articolo,  infatti,  non   toccava
nemmeno incidentalmente o indirettamente la  materia  delle  sostanze
stupefacenti e la  disciplina  del  trattamento  sanzionatorio  o  la
prevenzione  di  pubblica  sicurezza  dei   relativi   illeciti,   ma
riguardava  esclusivamente  aspetti  concernenti  le   modalita'   di
esecuzione  della  pena  per  i   tossicodipendenti   recidivi   gia'
condannati,  tanto  che  recava  il  titolo  "Esecuzione  delle  pene
detentive per tossicodipendenti in programmi terapeutici", mentre nel
preambolo del provvedimento d'urgenza si dichiarava che la sua  ratio
e finalita'  era  quella  di  "garantire  l'efficacia  dei  programmi
terapeutici di recupero per le tossicodipendenze  anche  in  caso  di
recidiva". Era dunque questo il "caso straordinario" che giustificava
la "necessita' e urgenza" di  provvedere  e  legittimava  l'esercizio
della funzione legislativa senza delega da parte del Parlamento.  Con
la legge di conversione, invece, l'art. 4 venne fatto seguire da  una
serie  di  ben  23  articoli  aggiuntivi  (dall'art.  4-bis  all'art.
4-vicies-ter, a loro volta articolati in numerosissimi commi e con  i
relativi allegati), che non apportavano modifiche  in  qualche  grado
interrelate funzionalmente con le previsioni dell'originario art.  4,
bensi'  modificavano  profondamente  l'assetto   disciplinatorio   "a
regime" in materia di stupefacenti. 
    Per quanto piu' specificamente concerne  le  norme  rilevanti  in
questo  giudizio,  mediante  l'aggiunta  dell'art.  4-quater   e   il
conseguente  inserimento  dell'art.  75-bis  al  Testo  Unico   sugli
stupefacenti  veniva  introdotto  nell'ordinamento  un  articolato  e
dettagliato sistema di misure preventive di  pubblica  sicurezza,  in
quanto  tali  soggette  a  controllo   giudiziario,   applicabili   a
"qualificati"  assuntori  di  stupefacenti,  eventualmente  anche   a
prescindere dall'esecuzione di pene detentive, dalla recidiva  penale
dei soggetti sottoposti e finanche  dall'esistenza  di  un  programma
terapeutico  in  corso  nei  loro  confronti  (oltre  che  su   altri
importanti aspetti che non  rilevano  in  questo  giudizio,  come  la
soglia quantitativa oltre la quale  la  detenzione  e'  punibile,  il
previgente sistema  classificatorio  delle  sostanze  stupefacenti  e
psicotrope, le pene edittali per gli illeciti aventi ad oggetto  c.d.
droghe  leggere,  equiparate  a  quelle   pesanti,   le   conseguenze
amministrative, e cosi' via). 
    Secondo la richiamata giurisprudenza della Corte  costituzionale,
l'oggetto della legge di conversione deve tendere  a  coincidere  con
quello del decreto di urgenza e comunque le nuove norme da essa poste
devono possedere una omogeneita'  funzionale-finalistica  con  quelle
del decreto originario. Ora, non appare  sussistere  una  tendenziale
coincidenza,  una  omogeneita'  materiale  e   teleologica   tra   la
disposizione abrogatrice contenuta nell'art. 4 del decreto  d'urgenza
e la riforma organica del testo unico sugli stupefacenti posta con la
legge di conversione, in particolare,  per  quanto  qui  rileva,  con
l'introduzione  dell'inedito  e  stringente  sistema  di  misure   di
preventive  di  pubblica  sicurezza  in  applicazione  nel   presente
giudizio. 
    Invero, come  gia'  puntualmente  rilevato  dalla  Terza  Sezione
Penale di questa Corte  nella  citata  ordinanza  n.  227  del  2013,
l'unica  norma  in  materia  di  stupefacenti  aggiunta  in  sede  di
conversione che non appare del tutto estranea alla ratio dell'art.  4
e'  l'art.  4-undecies,  strettamente  connesso  all'esecuzione   del
programma  terapeutico  del  tossicodipendente  recidivo  detenuto  o
suscettibile di esserlo. 
    La sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 afferma del
resto chiaramente che l'art. 4 del  decreto-legge  n.  272  del  2005
"contiene norme di natura processuale, attinenti  alle  modalita'  di
esecuzione  della  pena,  il  cui  fine   e'   quello   di   impedire
l'interruzione dei programmi di recupero dalla tossicodipendenze.  La
Corte sottolinea al proposito che quelle norme "riguardano, cioe', la
persona del tossicodipendente e perseguono una finalita' specifica  e
ben determinata: il suo recupero dall'uso di droghe, qualunque  reato
egli abbia commesso, sia esso in materia di stupefacenti o non". 
    Non cosi' le norme di  cui  all'art.  4-quater,  pure  introdotte
dalla legge di conversione, le quali invece sono norme a connotazione
sostanziale, dei  tutto  svincolate  da  finalita'  di  recupero  del
tossicodipendente ed espressamente orientate a fini di prevenzione di
un eventuale pericolo per sicurezza pubblica. 
    Si tratta, dunque, di  fattispecie  diverse  per  materia  e  per
finalita',   evidentemente   sintomatiche   dell'estraneita'    delle
disposizioni censurate, aggiunte in sede di conversione, rispetto  ai
contenuti e alle  finalita'  del  decreto-legge  in  cui  sono  state
inserite. 
    Puo' osservarsi che qualora si ritenesse che la mera  circostanza
che primo comma  dell'art.  4  richiamava,  per  sopprimerlo,  l'art.
94-bis del decreto del Presidente della Repubblica n.  309  del  1990
(ivi inserito da 22 giorni), sia sufficiente a rendere "non del tutto
estranea" alle ragioni di necessita' e urgenza  che  lo  supportavano
l'intera riscrittura del  testo  unico  sugli  stupefacenti,  allora,
seguendo il  medesimo  ragionamento,  dovrebbe  pure  ritenersi  che,
poiche'  il  secondo  comma  del  medesimo  art.  4  richiamava,  per
modificarlo, l'art. 656, comma 9, lettera  c),  codice  di  procedura
penale, nel caso di specie si sarebbe  potuto  pure  riscrivere,  con
apposito maxiemendamento - saltando  quindi  anche  l'esame  in  sede
referente - tutta la disciplina sulla esecuzione penale. In tal  modo
si  consentirebbe  ad  ogni  Governo,  e  alla  sua  maggioranza,  di
approfittare di qualunque, anche marginale ed  effimera,  "emergenza"
per   riformare   interi   settori   dell'ordinamento,    utilizzando
l'eccezionale potere di legiferare mediante provvedimenti d'urgenza e
la speciale procedura privilegiata della  loro  conversione,  che  al
contrario costituisce una fonte funzionalizzata e specializzata. 
    Appare  dunque  non   manifestamente   infondato   ritenere   che
l'introduzione delle nuove  norme,  ed  in  particolare  delle  norme
d'anzi indicate poste dall'art. 4-quater, abbia travalicato i  limiti
della potesta' emendativa del Parlamento tracciati  dalle  richiamate
pronunce della Corte costituzionale. 
    8. Puo' aggiungersi che la totale estraneita' delle  nuove  norme
rispetto  all'oggetto  ed  alle  finalita'   del   decreto-legge   fu
evidenziata anche in sede parlamentare gia' col parere sul disegno di
legge n. 297 espresso dal Comitato per la legislazione  della  Camera
nella seduta  del  1°  febbraio  2006  col  quale  si  richiamava  il
messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica  del  29  marzo
2002 di rinvio della legge di conversione del decreto-legge n. 4  del
2002,  e  si  prospettava  la  contrarieta'  delle  nuove  norme  con
"l'esigenza  di  garantire  la  specificita'  e   l'omogeneita'   dei
contenuti normativi recati nei provvedimenti di urgenza  anche  nella
fase di esame parlamentare". La mancanza di  omogeneita'  fu  inoltre
manifestata da  diversi  parlamentari  della  minoranza  in  sede  di
dibattito sulla legge di conversione sia al Senato sia alla Camera. 
    D'altronde,  potrebbe  ritenersi  che   la   totale   estraneita'
all'oggetto ed alla ratio  originari  del  provvedimento  governativo
d'urgenza delle modifiche al testo unico sugli stupefacenti sia stata
ammessa ed enunciata dalla stessa legge di conversione, la quale,  da
ultimo, ha aggiunto nel titolo del decreto-legge le seguenti  parole:
"e modifiche al testo unico delle  leggi  in  materia  di  disciplina
degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura   e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309". 
    Questa aggiunta sembra appunto mostrare  che  la  modifica  della
normativa sugli stupefacenti di cui al decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 309 del 1990 (a  parte  la  specifica  e  limitatissima
norma sulla esecuzione della pena detentiva per  i  tossicodipendenti
recidivi)   non   rientrava   nell'oggetto    e    nelle    finalita'
dell'originario provvedimento normativo come configurato dal  Governo
ed emanato dal Presidente della Repubblica, altrimenti non si sarebbe
reso necessario modificarne il titolo aggiungendovi un nuovo oggetto.
Ne'  sembra  potersi  ritenere  che  con  questo  escamotage,   ossia
modificando e ampliando lo stesso titolo del decreto-legge in sede di
conversione,   si   possano   legittimamente   inserire   nel   testo
dell'originario decreto-legge norme "del tutto estranee alla  materia
e alle finalita' del medesimo", in sostanziale elusione del ricordato
principio costituzionale posto dall'art. 77, secondo comma, Cost. 
    Per completezza puo' altresi' osservarsi che nel  caso  in  esame
gli aspetti  patologici  delle  modalita'  di  svolgimento  dell'iter
legislativo potrebbero apparire ancora maggiori di quelli che avevano
indotto il Presidente della Repubblica  a  rinviare  alle  Camere  la
legge di conversione dei decreto-legge 25 gennaio 2002, n,  4.  Nella
specie, invero, la legge di conversione fu definitivamente  approvata
l'8 febbraio, ossia  pochi  giorni  prima  dello  scioglimento  delle
Camere e dell'inizio delle olimpiadi,  e  fu  poi  promulgata  il  21
febbraio. Quindi il Presidente della Repubblica, non potendo disporre
un rinvio parziale, avrebbe potuto esercitare la sua  prerogativa,  a
Camere  sciolte  e  nell'imminenza  della  scadenza  del  termine  di
conversione, solo assumendosi la responsabilita' di mettere a rischio
le esigenze di sicurezza e lo stesso svolgimento delle  olimpiadi  di
Torino. 
    Puo' ancora osservarsi come il vulnus al sistema di  ripartizione
delle competenze normative  costituzionalmente  configurato  potrebbe
derivare anche dal c.d. abuso della prassi, da tempo invalsa, con cui
il Governo presenta, nella prima lettura  parlamentare  dell'articolo
unico del  disegno  di  legge  di  conversione,  un  maxi-emendamento
innovativo rispetto al contenuto  originario  del  decreto-legge,  al
fine di sostituirne parzialmente o interamente il testo e  sul  quale
sara' poi posta la questione di fiducia. In  tal  modo  il  contenuto
della  legge  di  conversione  viene   svincolato   da   quello   del
decreto-legge, ed e' possibile approvare con un solo  voto,  con  una
discussione  ridotta  al  minimo  e  senza  possibilita'   da   parte
dell'assemblea di votare emendamenti, una disciplina legislativa  del
tutto nuova e completamente sganciata dal  contenuto  originario  del
decreto. In questo modo, in sostanza, il procedimento di' conversione
previsto dall'art. 77 Cost. non serve piu' a convertire in  legge  il
contenuto di quei provvedimenti provvisori adottati  dal  Governo  in
casi straordinari di necessita' e di  urgenza,  ma  viene  utilizzato
come escamotage per far approvare un'iniziativa legislativa del tutto
nuova, di  fatto  inemendabile,  eludendo  le  regole  ordinarie  del
procedimento legislativo. 
    9.  Di  conseguenza,   l'indicata   questione   di   legittimita'
costituzionale in riferimento all'art. 77,  secondo  comma,  Cost.  -
prospettata  sotto  profilo  della   totale   estraneita',   rispetto
all'oggetto ed alle finalita' del decreto-legge, delle norme aggiunte
in sede  di  conversione  con  cui  e'  stata  introdotta  una  nuova
disciplina "a regime' in  materia  di  sostanze  stupefacenti,  e  in
particolare, mediante la introduzione di un vero e proprio sistema di
misure  preventive  di  pubblica  sicurezza  applicabili  a  soggetti
assuntori di sostanze stupefacenti appare  plausibile,  seria  e  non
manifestamente infondata ed, essendo rilevante nei  giudizio,  merita
di essere sottoposta al naturale sindacato dei giudice delle leggi. 
    10. Deve altresi'  essere  sollevata  in  via  subordinata  altra
questione, sempre in riferimento  all'art.  77  Cost.,  ma  sotto  il
profilo della carenza del presupposto della necessita' ed urgenza. 
    Come si e' dianzi osservato, si ritiene ravvisabile, per i motivi
indicati, una totale estraneita' ed eterogeneita' tra le nuove  norme
ed il contenuto e le finalita' di quelle del decreto-legge, e proprio
sotto  questo  profilo  viene  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Qualora pero' la Corte costituzionale dovesse invece ritenere che
le norme dianzi specificate "non siano del tutto estranee rispetto al
contenuto  della  decretazione  d'urgenza",  allora  dovrebbe  essere
effettuata anche per esse la valutazione in termini di  necessita'  e
di urgenza. Non appare invero  manifestamente  infondata  l'eccezione
secondo cui il difetto di tale requisito sarebbe evidente (nel  senso
indicato dalla sentenza n.  171  del  2007),  risultando  da  diversi
indici anche emergenti dal testo del decreto-legge come convertito. 
    Va   invero   qui   sommariamente   ricordato   che   la    Corte
costituzionale, con la sentenza n. 171 del 2007, ha ritenuto che  non
e' possibile sottrarre il decreto-legge al sindacato di  legittimita'
per difetto del presupposto della necessita' ed urgenza a causa della
sua conversione, giacche' "affermare che la legge di conversione sana
in ogni  caso  i  vizi  del  decreto  significherebbe  attribuire  in
concreto al legislatore ordinario il potere di  alterare  il  riparto
costituzionale delle competenze del Parlamento e del  Governo  quanto
alla produzione delle  fonti  primarie".  Tale  sindacato,  peraltro,
veniva limitato, da  questa  sentenza,  agli  aspetti  di  "evidente"
carenza del suddetto requisito, La Corte, in sostanza, attraverso  la
via delle  "norme  intruse"  giunse  a  scrutinare  la  mancanza  dei
presupposti, dichiarando incostituzionale  una  disposizione  tesa  a
correggere un problema di ineleggibilita'  del  sindaco  di  Messina,
aggiunta in sede di conversione ad un decreto relativo  alla  materia
della finanza degli enti locali. 
    Anche con la  sentenza  n.  128  del  2008,  la  Corte  dichiaro'
l'illegittimita' di una norma, aggiunta in sede di  conversione,  che
disponeva l'esproprio del teatro Petruzzelli in favore del Comune  di
Bari, per l'assenza di collegamento con  le  altre  disposizioni  (in
materia tributaria e finanziaria) del decreto-legge, sintomo peraltro
della sua estraneita' alle ragioni  di  straordinaria  necessita'  ed
urgenza che lo giustificavano. 
    In entrambi questi casi la Corte, attraverso la  verifica  di  un
collegamento tra disposizione introdotta in sede di conversione  e  i
presupposti  del  decreto,  ha  verificato  se  i   presupposti   del
decreto-legge originario potessero reggere anche le norme aggiunte. 
    Sulla base di questa giurisprudenza costituzionale si  e'  quindi
ritenuto che tutte le disposizioni di un decreto-legge devono  essere
ancorate al  presupposto  del  caso  straordinario  di  necessita'  e
urgenza che legittima l'esercizio del potere legislativo senza delega
da parte del Governo. E l'estraneita' di taluna di dette disposizioni
alla disciplina cui il presupposto  della  necessita'  e  urgenza  si
riferisce  sarebbe  segno  evidente  della  carenza  del  presupposto
stesso, che non puo' essere sanata dalla conversione del decreto.  Si
aggiunge che, se e' vero che la legge di conversione non puo'  sanare
l'assenza  dei   requisiti   di   taluna   delle   disposizioni   del
decreto-legge,  dovrebbe  anche  ritenersi  che  essa  neppure  possa
legittimamente inserire ex novo nel decreto disposizioni che appaiono
estranee alle ragioni di necessita' e  urgenza  che  giustificano  le
norme del decreto stesso. 
    Sul punto, peraltro, con la sentenza n. 355 del 2010, la Corte ha
cercato di distinguere  tra  "norme  aggiunte  eterogenee"  e  "norme
aggiunte  non  eterogenee",  sottolineando  che   va   "ulteriormente
precisato che la valutazione in termini di necessita'  e  di  urgenza
deve essere indirettamente  effettuata  per  quelle  norme,  aggiunte
dalla legge di conversione del decreto-legge, che non siano del tutto
estranee rispetto al contenuto della decretazione d'urgenza",  mentre
questa  valutazione  non  occorre  quando  la  norma   aggiunta   sia
eterogenea rispetto al detto contenuto, essendo tale eterogeneita' di
per  se'  sintomo  della  mancanza  dei  presupposti.  Anche   questa
sentenza,  quindi,  ha  confermato  il   principio   che   tutte   le
disposizioni  del  decreto-legge  convertito,  ivi  comprese   quelle
introdotte con la legge di conversione e  non  del  tutto  dissonanti
rispetto  al  contenuto  originario  del   decreto,   devono   essere
assistite, pena l'illegittimita', dai requisiti  della  straordinaria
necessita' e urgenza. 
    Con la gia'  ampiamente  richiamata  sentenza  n.  22  del  2012,
infine, la Corte ha scelto di non seguire la linea della verifica dei
presupposti della disposizione aggiunta, ma  ha  limitato  la  stessa
possibilita' di emendare il decreto,  in  base  alla  funzione  della
conversione, rinforzando il collegamento funzionale tra i  due  atti,
alla stregua delle tesi piu' tradizionali che vedevano  la  legge  di
conversione come "condizionata" alla disciplina adottata dal governo. 
    Nel caso in esame, pertanto, qualora si  ritenesse  infondata  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  qui  sollevata  in   via
principale  per  la  ragione  che  le  nuove  norme  in  materia   di
stupefacenti  non  si  trovino   "in   una   condizione   di   totale
eterogeneita' rispetto al contenuto del decreto-legge" in virtu'  del
formale aggancio all'art. 4 del medesimo, dovrebbe  svolgersi  su  di
esse il sindacato  di  sussistenza  del  necessario  requisito  della
necessita' ed urgenza. 
    11. Sotto questo  profilo  non  appare  manifestamente  infondata
l'eccezione, che qui si propone in via subordinata,  secondo  cui  la
mancanza del requisito appare nella specie "evidente". 
    Puo'  innanzitutto  rilevarsi  la  assoluta   mancanza   di   una
motivazione nel preambolo dell'atto  normativa  e  nella  discussione
parlamentare, su quale fosse la straordinaria necessita' che  rendeva
urgente, in quel momento, una riscrittura "a regime" del testo  unico
sugli   stupefacenti,   Gli   interventi   al    Senato    favorevoli
all'emendamento, lo  giustificarono  con  il  richiamo  all'indirizzo
minoritario e ormai da tempo  superato  dalla  Corte  costituzionale,
secondo cui la legge di conversione,  per  definizione,  non  sarebbe
legata al requisito della necessita' ed urgenza,  con  il  che  pero'
sembra che implicitamente venisse riconosciuto che nella specie  tali
requisiti non ricorrevano. 
    Inoltre, l'originario disegno di legge S-2953, il  cui  contenuto
venne in gran parte incorporato nel maxiemendamento,  non  era  stato
inserito   nel   calendario   dei    provvedimenti    da    approvare
prioritariamente, tanto che l'ultima seduta  in  cui  le  Commissioni
riunite del Senato lo avevano esaminato risaliva alla  primavera  del
2005, il che sembra confermare che  gli  emendamenti  aggiuntivi  non
rispondessero ai  requisiti  dell'urgenza  e  della  necessita'.  Del
resto,  nella  discussione  al  Senato   il   maxiemendamento   venne
illustrato e giustificato  proprio  quale  conclusione  di  un  lungo
percorso  legislativo  che  raccoglieva  tre   anni   di   esperienza
parlamentare e con quale si voleva chiudere una "annosa vicenda". 
    Appare chiara l'analogia di questa situazione non solo con quella
oggetto della sentenza n. 32 del 2014, ma anche con quella  esaminata
dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.  128  del  2008,  che
dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale   di   una   disposizione
aggiunta in sede di conversione finalizzata appunto a  risolvere  una
"annosa vicenda" relativa alla proprieta' e alla gestione del  teatro
Petruzzelli di Bari, il che, secondo la Corte, rivelava "l'assenza di
ogni carattere di indispensabilita' ed urgenza". 
    Del resto l'aggiunta, con la legge di conversione,  di  un  nuovo
oggetto nel titolo del decreto-legge, oltre  all'eterogeneita'  delle
nuove norme, sembra evidenziare anche l'estraneita' delle stesse alle
ragioni di necessita' ed urgenza del provvedimento governativo. 
    Deve al riguardo sottolinearsi che all'evidenza  l'art.  4-quater
pone una "normativa  a  regime,  del  tutto  slegata  da  contingenze
particolari, inserita tuttavia  nella  legge  di  conversione  di  un
decreto-legge", che non fa riferimento a "situazioni gia' esistenti e
bisognose di urgente intervento  normativo,  ma  in  via  generale  e
ordinamentale per tutti i casi futuri" (sent. n. 22 del 2012). 
    12.  In  conclusione,  l'indicata   questione   di   legittimita'
costituzionale, incidendo  sull'applicabilita'  al  ricorrente  delle
misure preventive alle quali e' stato  sottoposto  col  provvedimento
del  Questore  convalidato  col  decreto  del  Giudice  di  Pace   di
Alessandria oggetto di impugnazione (e  quindi  sulla  decisione  dei
relativi motivi di ricorso) appare rilevante in questo  giudizio  nei
limiti dianzi specificati, ossia in relazione all'art.  4-quater  del
decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272,  introdotto  dalla  legge  di
conversione 21 febbraio 2006, n. 49, laddove inserisce l'art.  75-bis
nel decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309  e
introduce  una  serie  di  misure  di  prevenzione   consistenti   in
significative limitazioni  della  liberta'  personale  applicabili  a
soggetti assuntori di stupefacenti per ragioni di pubblica  sicurezza
e  definisce   al   riguardo   condizioni,   competenze   e   cadenze
procedimentali per la loro applicazione e l'esercizio del  necessario
controllo dell'autorita' giudiziaria. 
    La questione e' poi non manifestamente infondata  in  riferimento
all'art. 77, secondo  comma,  Cost.,  in  via  principale,  sotto  il
profilo della estraneita' delle nuove norme inserite dalla  legge  di
conversione all'oggetto, alle finalita' ed alla ratio  dell'originale
contenuto del decreto-legge, e, in via subordinata, sotto il  profilo
della evidente carenza del  presupposto  del  caso  straordinario  di
necessita' e urgenza. 
    Va pertanto sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale
delle suddette norme, nei limiti,  sotto  i  profili  e  nei  termini
dianzi specificati. 
    Il giudizio deve  essere  sospeso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale.